Author:
Silvia Grandi
Insegnante Validation®
Mentre chiudo la porta di casa cerco di ripercorrere con la mente le azioni che fanno parte del mio rito mattutino quotidiano, per verificare di aver fatto tutto e di aver preso l’occorrente per la giornata. Attraverso il giardino e lo sguardo spazia sul campo di grano di fronte a casa, che mi infonde un senso di tranquillità mentre il tepore del sole fa presagire con un po’ di preoccupazione che anche oggi sarà una giornata afosa. Salgo in macchina per dirigermi al lavoro.
Entro in struttura, indosso la divisa e lungo il corridoio che porta verso il nucleo Azzurro vedo camminare la signora C. che, appena mi riconosce, dirige i suoi passi verso di me e …” Questa mattina c’è la dottoressa?” mi chiede con la voce un po’ tremolante e il respiro affannato, guardandomi fisso negli occhi come se attendesse la risposta di un oracolo.
Capisco che oggi per lei la giornata non è iniziata bene, sento il suo bisogno di sfogare una parte di ansia e avverto in me una sorta di istintiva resistenza che, anche fisicamente, mi fa fare un piccolo passo indietro. Tuttavia, mi centro, riallineo i piedi per aiutarmi a trovare una posizione di equilibrio e decido di mettere da parte quella resistenza per fare spazio all’ascolto.
Quante giornate lavorative iniziano in questo modo per noi professionisti della cura, o anche peggio! I ritmi dettati dai piani di lavoro e, spesso, dagli imprevisti quotidiani rischiano di indurci a sacrificare proprio i momenti in cui gli anziani hanno maggior bisogno di essere ascoltati.
Mi chiedo come sia possibile riuscire, anche nei momenti di forte stress, a mantenersi degli ascoltatori attenti e accoglienti.
L’esperienza di vent’anni di lavoro mi porta a riconoscere il valore di alcune tecniche che possono essere apprese per allenare la capacità di “mettere da parte”, in determinati momenti, tutto ciò che occupa i nostri pensieri.
Un esempio di questo per il metodo Validation® è il Centering (trovare il proprio centro), che è la prima fondamentale tecnica. Ha a che fare con la capacità di aprire dentro di sé uno spazio rispettoso di ascolto dove far entrare le emozioni dell’altro
senza esserne travolti e corrisponde, in primis, ad un atto della volontà. Ogni volta in cui mi preparo ad entrare in un profondo contatto empatico con un anziano fragile, devo infatti chiedere a me stessa: “in questo momento desidero accogliere chi mi sta di fronte?”.
Se la risposta è sì, possono accadere cose meravigliose e sorprendenti, per l’anziano e per me. Gli operatori Validation® lo sperimentano ogni giorno. Occorre però ammettere che a volte il costo energetico di questo processo è considerevole e richiede continuamente di rigenerarci per non esaurirci emotivamente.
Per spiegarmi meglio torno al mio incontro con la signora C.:
“Sento che oggi accogliere la signora C. mi è costato fatica…quell’iniziale resistenza era forse un istinto di protezione. In effetti sto attraversando un periodo faticoso dal punto di vista emotivo e questa notte non ho riposato bene.”
È bene che io sia consapevole che la mia capacità di offrire empatia all’anziano fragile in questo caso (ma potrei dire a chiunque!) è collegata alla capacità di offrire empatia a me stessa.
Per dirlo con le parole della ricercatrice americana Brené Brown: «Non possiamo essere compassionevoli con le altre persone se non riusciamo a trattare bene noi stessi» (dal discorso “The power of vulnerability”, 2010, TEDxHouston).
Trovo fondamentale questo passaggio per noi che abbiamo scelto un lavoro di cura: il processo di mettere da parte le nostre emozioni più volte al giorno e per anni, può risultare dannoso se significa togliere valore a quelle emozioni.
È fondamentale che ci abituiamo e ci formiamo a riconoscere l’importanza di andare a riprendere ciò che abbiamo messo da parte, per prendercene cura (in vari modi e in contesti opportuni).
L’empatia è un atto della volontà, al quale non possiamo essere obbligati, né dagli altri né da noi stessi. Se troppe cose urgenti occupano già i miei pensieri, è naturale che io non riesca a mettere da parte le emozioni per fare spazio all’altro. D’altronde ciò non può avvenire se non ho prima imparato come si fa.
Se, per fare spazio, mi abituo invece a negare una parte di me, allora agisco in connessione con gli altri ma non con me stessa e questo, a lungo andare, è rischioso. Ecco perché credo che il rispetto per lo stato emotivo dell’anziano fragile e il rispetto dello stato emotivo di chi di lui si prende cura, siano due aspetti inscindibili del benessere in Rsa.